In nome della pluralità di posizioni all’interno del movimento anarchico e anche all’interno della FAI, accanto a numerosi articoli di critica radicale al referendum costituzionale, pubblichiamo anche l’articolo seguente arrivatoci da un compagno che invece invita a votare No.
Come redazione web ci teniamo a chiarire che di questo tema si è discusso all’ultimo convegno di Federazione tenutosi a Reggio Emilia l’8 e 9 ottobre scorsi, dove è vi stato un accordo unanime fra i gruppi e le individualità presenti su una critica serrata allo strumento referendario e in particolare a questo e a tutti i giochi politici che vi stanno dietro (sia fuori che dentro i movimenti sociali).
Non riconoscendo però, in quanto anarchici e anarchiche, il principio di maggioranza e minoranza, diamo spazio anche a compagni, come in questo caso, che esprimono una posizione differente.
La redazione web di Umanità Nova
Premetto che, di fronte all’immane tragedia che ha colpito il centro d’Italia, la questione e i contenuti del referendum appaiono ancor più risibili, se non surreali.
Ciononostante vorrei chiarire il senso della mia proposta di rispondere NO al referendum per la riforma della costituzione.
In sessanta anni di militanza nel movimento anarchico non mi sono mai sognato di spostarmi dalla consuetudine, politicamente convincente, dell’astensionismo anarchico. Non lo faccio neppure in questa circostanza, anche se con la mia proposta sembri che me ne allontani. Non è affatto così; non penso che un NO o un SÌ al prossimo referendum sposti sostanzialmente le posizioni e le forze in campo. Penso però che nella riforma renziana vi sia una riduzione essenziale di quel poco di democrazia che ancora oggi ci consente di condurre le nostre battaglie sul territorio. È certamente una democrazia malata, che risponde alle esigenze di un capitalismo selvaggio, condotto a vantaggio di pochi, che sposta costantemente risorse dai più poveri ai più ricchi. Ma la malattia più profonda è che le ferree leggi del capitalismo contemporaneo sottraggono sempre di più margini di libertà a una politica che sostenga le ragioni dei poveri e degli oppressi. Quindi non sono le forme di democrazia, per quanto imperfette e discutibili, a produrre una riduzione degli spazi politici operativi, ma è al contrario la prepotenza dell’economia globalizzata che spinge gli apparati democratici verso una deriva sempre più oppressiva.
La riforma costituzionale proposta dal governo Renzi, anziché agire per tentare di riequilibrare questo scompenso, lo allarga a dismisura, sottraendo a quel poco che resta di politico ogni possibilità di agire.
Letta la realtà attuale in questo senso, c’è da chiedersi in quale misura l’astensionismo anarchico acquisti significato politico compiuto nell’immediata contingenza.
Nella razionalità malata dell’odierno sistema capitalistico credo che non ci sia spazio per la difesa della purezza dei principi o per suggestioni ideologiche. Se il movimento anarchico vuole essere in grado di intervenire sul reale deve essere capace di intenderne le tendenze, di “sporcarsi le mani” per così dire, in modo da insinuarsi – individualmente e collettivamente – negli spazi, negli interstizi che il sistema volta a volta presenta, al fine di incepparne il funzionamento, sia pure parzialmente e temporaneamente. Ciò senza pretendere per questo di costruire le premesse di una futura rivoluzione, ma lavorando per la trasformazione del presente (in modo sempre locale e parziale), lottando contro ogni aspetto del dominio e uscendo dall’isolamento per passare all’azione insieme con gli altri che, pur non dichiarandosi anarchici, condividono il rifiuto di questo sistema globalizzato, fondato sul dominio, sulla gerarchizzazione, sulla rincorsa al denaro divenuto feticcio.
Scrive Tomás Ibáňez in Anarchismo in movimento (Eleuthera 2015): «La rivoluzione […] non si situa nel futuro, ma ha come unica dimora il presente e si produce in ogni spazio e in ogni momento che si riescono a sottrarre al sistema […] Si tratta quindi di attaccare le infiltrazioni e le manifestazioni locali del dominio». E ancora: «Oggi il movimento anarchico non è più l’unico depositario, l’unico difensore, di certi principi anti-gerarchici, di certe pratiche non autoritarie, di forme di organizzazione orizzontale, della capacità di intraprendere lotte dai toni libertari, o della diffidenza verso qualunque dispositivo di potere. Questi elementi si sono disseminati al di fuori del movimento anarchico, e oggi vengono ripresi da collettivi che non si identificano come anarchici e che talora rifiutano apertamente di farsi rinchiudere entro le pieghe di questa identità».
Cosa significa dunque proporre di votare NO al referendum? Oltre al fatto contingente di opporsi ai contenuti del referendum, si tratta di riallacciare rapporti meno episodici con quei movimenti e correnti di pensiero contemporaneo che, come noi anarchici, combattono il sistema e contemporaneamente ricercano vie alternative per ricostruire comunità a dimensione umana.
Antonio Cardella